Qualche anno fa, dopo una riflessione abbastanza lunga sulla vita effettiva di un tappo (materia che, oltre ad essere parte del mio lavoro, da sempre mi “affascina”) ho creato una piccola pagina web chiamata Unckorked Life, tuttora attiva.

L’idea era semplicissima: si partiva dall’azione, elementare eppure basilare, dello stappo di una bottiglia. Ho sempre pensato che aprire una bottiglia sia sempre un incontro e che proprio il tappo rappresenti il coronamento di quest’incontro. 

Decisi allora di prendere i dati ufficiali dell’anno 2015 relativi alla durata media di vita di un italiano e di incrociarli con quelli riguardanti il consumo medio di alcool. 

Il risultato di questa “stravagante” indagine mi ha permesso di creare un pannello nel quale ho poi rappresentato con i tappi l’esatto numero di bottiglie che mediamente ognuno di noi stappa nell’arco della propria vita, divise per tipologia di bevanda alcolica.

I risultati ci mostrarono che, una persona, in media, stappa nella propria vita:

  • 893 bottiglie di vino rosso
  • 524 bottiglie di vino bianco
  • 289 bottiglie di vino frizzante
  • 1980 bottiglie di birra
  • 112 bottiglie di distillati/grappe

Al di là della indagine in sé, trovo estremamente interessante conoscere numericamente le cose che utilizziamo durante la nostra esistenza: permette di comprendere il nostro impatto effettivo sul mondo, analizza le nostre abitudini, quantifica il nostro “peso specifico” all’interno della così detta società dei consumi

Visualizzare poi questo effettivo quantitativo (il sito fu progettato proprio per dare una dimensione anche grafica al tutto) rende tangibili tali numeri, che altrimenti risulterebbero sterili informazioni senza un contesto dietro.

Da questa idea divertente e interattiva sono nate un paio di domande che continuano, anche oggi, a girarmi in testa: qual è la nostra concezione di rifiuto? 

Un rifiuto può trasformarsi in un’opera d’arte, unendo dunque l’utile al dilettevole?

Rappresentare tutti i tappi consumati da una persona media nell’arco della propria esistenza non è solo un’operazione curiosa e stimolante ma un punto di partenza da cui trarre interessanti osservazioni generali. Ci mette davanti alla nostra condizione di consumatori e ci convince (semmai ce ne fosse ancora il bisogno) che la nostra vita ha sempre un impatto su quello che ci circonda.

Da qui può partire una vera e propria discussione filosofica su un tema così ampio e affascinante come quello del riciclo, oltre che sulla concezione stessa di cosa significa rifiuto.

Se una cosa così piccola e per molti di noi insignificante come un tappo occupa così tanto spazio nella nostra quotidianità, pensiamo a tutto il resto: quanto produciamo complessivamente? Qual è il prezzo da pagare per questo consumo? 

Ma soprattutto, come fare per evitare che tutti i nostri rifiuti debbano essere smaltiti subito e che soluzioni di riciclo abbiano in mente?

Sarebbe interessante fare in modo che molto di ciò che produciamo si possa utilizzare per fare qualcosa di bello anche esteticamente: i tappi potrebbero essere usati per creare piccoli oggetti di artigianato, così come gli scarti di pellame (per fare un esempio preso da altre produzioni industriali) che andrebbero a creare fibbie, borse, piccoli gadget.

Leggo sempre più spesso di attività che sfruttano il concetto di riciclo per creare un prodotto partendo da quelli che tradizionalmente consideriamo rifiuti: noi lo facciamo con Mixcycling, altri nel mondo della moda, altri ancora nell’ambito artistico (a mio parere, uno dei settori più interessanti per questo genere di operazioni).

Perché è importante questo rifiuto del rifiuto?

In un certo senso è basilare perché allunga la vita di un bene, di un prodotto, di un oggetto: se tutti provvedessimo a smaltire solo una parte dei rifiuti che produciamo (quelli che devono essere smaltiti per forza) potremmo lavorare anche in modo “casalingo” e non prettamente industriale ad idee che valorizzino un prodotto apparentemente finito, creando qualcosa di bello, utile e anche pratico.

L’idea di partenza di Unckorcke Life può essere riassunta dunque in un quest’ultimo estratto che somma in sé tre pensieri e successive azioni:

buttare meno, ragionare su un nuovo utilizzo, creare un nuovo oggetto.

In un senso più generico, far “rinascere” sempre ciò che davamo per obsoleto, innovandolo.

Call to action:

-Applica l’idea di Unckorcked Life per un materiale che tendi ad utilizzare spesso (magari anche con un calcolo approssimativo) per quantificarlo e vedere se può esserci una soluzione di riciclo o riutilizzo in altre forme

-Informati sul riciclo in generale (nel mio blog ne parlo spesso!)

-Pensa a modi alternativi di riciclo e a come utilizzeresti oggetti della tua quotidianità in “versione artistica”, rendendoli piacevoli a chi li guarda

2 risposte

  1. Buongiorno,
    anche sul post precedente incentrato prevalentemente sull’importanza della comunicazione, deploro
    l’uso di termini inglesi (spesso da web marketing).
    Nella comunicazione credo sia più importante conquistare lettori che non sono già “specializzati”.
    Ho l’impressione che l’uso di termini inglesi (non spiegati) rendono la comunicazione esoterica.
    Quindi userei si, termini inglesi per rendere più internazionale la tematica, ma li userei tra parentesi dopo il termine italiano.
    Cordialmente

    1. Salve Simon,
      grazie dell’osservazione che terrò presente,
      Non sono uno scrittore professionista, scrivo i concetti per come mi vengono e questo è l’output,
      spero comunque che il contenuto sia stato di valore, grazie.

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